Archivio mensile:gennaio 2012

Torta Tiramisù.

Questa torta tiramisù è ormai collaudata: la prima volta l’ho preparata in teglie gemelle per il compleanno di Fidanzato e da allora, ogni tanto, la rifaccio per le occasioni speciali.
Visto che per me è difficile trovare la panna 100% vegetale (perchè scrivere ‘vegetale’ sulla confezione di una panna che contiene proteine del latte!?), sono andata alla ricerca di una ricetta per farla in casa. Ne ho vista una curiosissima, col latte di cocco, qui. Non avendo a disposizione il latte di cocco, però, ho ripiegato su una ricetta che ho trovato su VeganBlog.
Il risultato non è male, ma credo che la prossima volta aggiungerò un cucchiaino di zucchero, per toglierle un po’ di acidità. Oppure proverò quella col latte di cocco.

Ingredienti.

Per il Pan di Spagna.

300 g di farina
50 g di fecola di patate
200 g di zucchero di canna
50 g di olio
250 g di latte di soia (usando una miscela metà acqua e metà latte di soia, il dolce viene più soffice)
scorza grattugiata di un limone
1 bustina di lievito per dolci
(4 cucchiai di fecola di patate + 4 cucchiai di acqua)
(1 cucchiaino di bicarbonato di sodio + 1 cucchiaio di aceto di mele)
la punta di 1 cucchiaio di vaniglia in polvere

Per la panna.

800 g di yogurt di soia naturale
2 cucchiaini di agar agar in polvere
3 cucchiai di zucchero a velo

Per la crema ciocco-nocciola.

100 g di nocciole tritate finissime
100 g di cioccolato fondente 70%
2 cucchiaini di zucchero
8 cucchiai di latte di soia

6 tazzine di caffè d’orzo mischiate a 3 tazzine di latte di soia

Procedimento. 

In una terrina mescolare tutti gli ingredienti secchi, compresa la scorza di limone. In un altro recipiente unire l’olio e il latte, mescolando con una frusta in modo da incorporare più aria possibile. Aggiungere poi la miscela di acqua e fecola, continuando a mescolare e, per ultimo, aggiungere l’aceto di mele unito al bicarbonato. Unire il liquido nella terrina degli ingredienti secchi e mescolare bene con la frusta. Versare in una teglia rettangolare, foderata di carta forno e infornare a 180° C per 25/30 minuti.

Il procedimento per fare la panna è descritto nel post di Pepo88 su VeganBlog. Ho lasciato che lo yogurt perdesse il suo siero su un colino a maglie fittissime per tutto il giorno, coperto, in frigo. Il giorno dopo era diventato bello compatto: l’ho unito allo zucchero e all’agar agar, incorporandoli con uno sbattitore elettrico per un paio di minuti.

Per preparare la crema ciocco-nocciola, far sciogliere a bagnomaria il cioccolato, aggiungere le nocciole (potete lasciarne da parte un po’ per guarnire la torta tiramisù) e, pian piano il latte, sino ad ottenere una consistenza cremosa.

Una volta raffreddato, tagliare circa 2/3 del pan di spagna, poi tagliarlo a metà e ricavarne tanti piccoli biscottini di forma rettangolare. Inzupparli nel caffellatte d’orzo e disporli sul fondo del contenitore scelto per ospitare il tiramisù. Terminato il primo strato di pan di spagna, adagiarvi sopra un bello strato di crema ciocco-nocciola e, sopra questa, uno strato di panna. Continuare a stratificare sino a riempire il contenitore. Terminare con una spolverata di cacao in polvere, cioccolato a scaglie e, se sono avanzate, una spolverata di granella di nocciole.

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Orecchiette panna, patate, trevisana, cipollotto e dulse. E pulizie di quasi primavera.

Svegliata prestissimo dai rumori del popolo iperattivo del sabato mattina, il simpatico ronzio dell’aspirapolvere sparata a tutta potenza neanche ci fossero da aspirare fermenti lattici vivi dagli angoli, il rullare poco conciliante delle rotelline sul pavimento che a casa mia si chiama soffitto e un amorevole trascinamento di mobili e sedie per il solito pavimento che da me si chiama soffitto, mi ha riportata alla triste realtà, ricordandomi che la casa è in una situazione di degrado non di poco conto.
A partire dalla verandina di ingresso per finire al giardinetto posteriore.
Non so se è un pensiero diffuso ma ancora non ho capito come mai, dopo secoli di progresso tecnologico, ancora non hanno inventato una casa che si pulisce da sola. Ma perchè!? E’ anche vero che se mi applicassi di più nelle faccende domestiche durante la settimana, non arriverei al sabato con l’ansia da prestazione. Come dicono mia nonna, mia mamma e ogni santa donna che le puoi capitare in casa quando ti pare ed è sempre quasi perfettamente in ordine, “quando una cosa ce l’hai in mano, se non ti serve più, devi rimetterla a posto!”
Ma è per caso colpa mia se in questa casa regna l’anarchia e le cose sono nomadi nate e non hanno un vero e proprio posto?!
Beh, comunque, quando lo straccio chiama non c’è nulla da fare: olio di gomito, musica e via. Il fato ha voluto che stamattina Fidanzato avesse un impegno, perciò ho potuto liberare la casalinga canterina che c’è in me.
Avviata la mia playlist preferita, ballando e cantando ho quasi portato a termine l’opera prima di pranzo, nemmeno avessi dovuto pulire la reggia di Versailles. Il tutto si è svolto come al solito, urlando le canzoni di cui conosco le parole e inventando in stile ‘uasciu iu beibi’ quelle che non conosco. A proposito di playlist, colgo l’occasione per dichiarare pubblicamente il mio amore per Last FM.
“Ma che cos’è?”, diranno subito i miei profanissimi lettori. Io sono su Last FM dal 26 giugno 2005, se vi iscriverete anche voi, vi si aprirà un mondo. E’ una sorta di database che raccoglie le canzoni che ascolto col pc oppure con l’iPod, basta installare un plugin leggerissimo ed il gioco è fatto: da quel momento ogni canzone ascoltata verrà inviata alla vostra pagina LastFm, il server comincerà ad elaborare le vostre informazioni e mano a mano vi consiglierà gruppi e artisti che potrebbero avvicinarsi ai vostri gusti musicali. Io la trovo una cosa geniale, visto che sono sempre a caccia di nuova musica. In più, sino ad un paio di anni fa, era possibile ascoltare illimitatamente la radio di LastFm, le cui stazioni sono infinite. Se vi piace la musica, dovete provarlo. Il mio profilo è questo.

Tornando alle pulizie, quando il mio stomaco ha cominciato a brontolare mi è subito venuta in mente la triste immagine della sottoscritta che addentava un panino con pane. Poi ho pensato a quella trevisana che stava per spirare senza che le avessi dato un’opportunità e ho concluso che mi sarei preparata una pasta veloce veloce veloce. Lascio la ricetta per le prossime pulizie pazze.


Ingredienti.

70 g di orecchiette
1 patata media
1 cipollotto fresco
1 piccolo cespo di trevisana
1 cucchiaio di alga dulse in fiocchi
5 cucchiai di panna di soia
2 cucchiai di olio EVO

Procedimento. 

In una pentola portare ad ebollizione l’acqua salata per la pasta.
Tagliare la patata a quadrettini. Ridurre il cipollotto a pezzetti, tagliare a listarelle la trevisana.
In un padellino far rosolare il cipollotto e l’olio. Aggiungere la panna e la trevisana e lasciarla appassire per 5 minuti.
Quando l’acqua bolle buttarci la pasta e le patate, lasciar cuocere per il tempo indicato nella confezione della pasta (12 minuti, per me), scolare e far saltare nel padellino, amalgamando bene per circa 2 minuti. Impiattare e cospargere con l’alga dulse.

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Il ritorno dei cavoletti.

I cavoletti sono tornati per confonderci. Ormai è raro che azzecchiamo il loro nome: li chiamiamo cavolini o broccoletti nel 90% dei casi.
En passant, questo fatto del ritorno dei cavoletti mi ha ricordato il ritorno della mummia, e la mummia mi ha ricordato il sarcofago, e il sarcofago mi ha ricordato un quesito irrisolto della cara Cesca*QB.
Perciò ecco “My Sarcophagus Wishlist”, ovvero le cinque cose che vorrei che i miei cari mi lasciassero vicine. Vorrei che venisse messo agli atti che preferirei farmi cremare. In tal caso vorrei un’urna tipo la bottiglia di Jeannie, Strega per Amore, dove ci stanno anche le cose grandi nonostante, ripeto, stiamo parlando di una bottiglia da circa un litro e mezzo, circa.

   

1) una scorta di semi di zucca da sgranocchiare
2) il mio pc con dentro tutte le foto, un bel po’ di serie televisive, i miei mp3, gli e-book e Angry Birds installato.
3) un generatore ecosostenibile per alimentare l’oggetto del punto 2)
4)il frullatore a immersione, ché non si sa mai
5)un kit da agricoltore da balcone, con un po’ di semi, per passare il tempo. E dell’acqua, chiaramente. Sennò come mi vengono su i germogli!?

Ma tornando ai cavoletti, questa volta li ho “cucinati” nudi e crudi, come insegna Nadir. Per l’occasione sono andata a studiarmi cosa è una marinatura. Pronti per la lezione? Un attimo che mi alzo, attacco le ginocchia, metto le mani dietro la schiena e comincio a ripetere quello che ho imparato.

“La marinata, cioè il composto liquido usato per la cosiddetta operazione di marinatura, è formato da tre tipi di ingredienti: ingredienti acidi come il succo di limone, l’aceto e il vino, ingredienti oleosi o grassi (oli di varia natura), ingredienti profumati, cioè spezie fresche o secche, aglio, cipolla…
Gli ingredienti acidi scompongono parzialmente le proteine e rendono gli alimenti più morbidi, l’olio trattiene i sapori e l’acqua, le spezie conferiscono un particolare sapore all’ingrediente marinato.
Per le verdure crude, il tempo di marinatura consigliato va dalla mezz’ora alle due ore.”

Visto che l’età avanza e la memoria diminuisce, forte di questi nuovi concetti, mi sono messa subito a preparare il tutto, per evitare che dopo mezz’ora le nozioni acquisite svanissero dalla mia mente.

Ingredienti.

Per i finocchi marinati.
2 finocchi
5 cucchiai di succo di un’arancia
1 cucchiaio di succo di limone
10 cucchiai di olio EVO
1 cucchiaio di shoyu
1 cucchiaino di semi di finocchio
1 cucchiaino di pepe rosa
1 cucchiaino di semi di cumino

Per i cavoletti marinati.
200 g di cavoletti
3 cucchiai di succo di limone
6 cucchiai di olio EVO
1/2 cucchiaio di shoyu
1 mazzetto di prezzemolo fatto a pezzetti con le mani, come fa Nigella
2 spicchi d’aglio

Per la crema agli anacardi.
160 g di anacardi
3 pomodori secchi
3 cucchiai di olio di sesamo
il succo e la scorza grattugiata di 1/2 limone
il succo di un mandarino
1 cucchiaino di miso di riso
2 cucchiaini di germe di grano
5 capperi

Procedimento.

Mettere ammollo in acqua fredda gli anacardi e i pomodori secchi, in contenitori separati.
Preparare prima le due marinate. Emulsionare bene tutti gli ingredienti liquidi e dopo unire quelli secchi.
Lavare i cavoletti e il finocchio, pulirli e tagliarli a fette sottili.
In un recipiente col tappo distribuire un fondo di marinata, uno strato di verdure a fettine, ricoprire con altra marinata e continuare fino ad esaurimento degli ingredienti. A questo punto si avranno due recipienti con due marinature diverse. Lasciare riposare per due ore, ma ogni tanto capovolgere e agitare delicatamente i recipienti in modo che il liquido si ridistribuisca fra le verdure affettate.
Al termine della marinatura, inserire tutti gli ingredienti della crema agli anacardi in un mixer e frullare sino ad ottenere una crema liscia. Se il composto dovesse risultare troppo denso, aggiungere un po’ di liquido dell’ammollo degli anacardi.

Dove c’è cavoletto marinato, c’è casa.

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Biscotti alle mandorle e cocco.

Ho rifatto il latte di mandorla e cocco per colazione. Questa volta sono riuscita ad estrarne di più utilizzando un canovaccio più grande che ho strizzato per bene e l'”okara” che ho ottenuto è rimasta molto più secca, una sorta di farina di mandorle e cocco, così l’ho utilizzata per fare dei biscotti. Per me sono simili agli amaretti e l’ispirazione viene dalla mia bibbia personale in materia di cucina vegan, ossia VeganRiot. Ad un certo punto della ricetta non sapevo quando aggiungere le mandorle e il cocco tritati, così li ho aggiunti alla fine e mi sono messa l’animo in pace. Dal latte avanzano poco più di 170 g di polpa strizzata, li ho messi tutti e il biscotto che è venuto fuori è risultato comunque morbidissimo.

Ingredienti.

150 g di zucchero demerara
130 g di margarina vegetale
20 g di olio di semi
6 cucchiai di latte di mandorle e cocco
1 pizzico di sale
200 g di farina
1/2 cucchiaino di vaniglia in polvere
170 g di mandorle e cocco tritati molto finemente
mandorle sgusciate per la decorazione

Procedimento.

In una ciotola lavorare insieme lo zucchero, la margarina e l’olio. Aggiungere pian piano il latte sino a creare un composto omogeneo.
Incorporare a poco a poco la farina ben setacciata, unire poi il sale, la vaniglia e infine le mandorle e il cocco tritati.
Ne risulterà un impasto difficilmente lavorabile, perciò il consiglio è di foderare una teglia e con l’aiuto di un cucchiaio formare delle palline di impasto da adagiarci sopra. Bisogna distanziarle un po’ perchè in cottura si allargano. Posizionare una mandorla sopra ogni biscotto.
Cuocere nel forno preriscaldato a 180° C per 20 minuti o sino a quando non sono leggermente dorate in superficie. Sfornare e lasciar raffreddare su una gratella. Conservare in un contenitore a chiusura ermetica.

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La città vecchia.

Sono pochi i posti in cui ho la certezza di rilassarmi e sentirmi a mio agio quasi fossi a casa mia.
Non ci sono parole per descrivere la sensazione di benessere che provo quando io e Fidanzato arriviamo in questo paese fuori dal tempo e ancorato allo spazio che è Osini. E questa domenica, per la prima volta, ho visitato la città vecchia, ciò che è rimasto del paese dopo l’alluvione del 1951.  Quando l’acqua è arrivata la gente ha abbandonato il paese, perchè troppo vicino al fiume, e si è spostata più in alto. Le case vecchie sono rimaste là, quasi come un monumento alla vita di un tempo. E’ una strana sensazione camminarci in mezzo, è emozionante riconoscere dettagli di tempi passati, camminare per strade non ricoperte di cemento e pensate per le persone. Eccola qua.

Estratti preziosi.

Volevo esprimere tutta la mia disapprovazione di queste ultime ore verso Blogger. Ma insomma. E’ possibile che non riusciamo a mettere una pezza sull’annoso problema del captcha combinato a OpenId!? Dai!!!! La maggior parte dei blog che leggo e commento sta su Blogger, se non riesco a lasciare un commentino mi sento male. Ancora peggio. Se scrivo un romanzo e poi non riesco a pubblicarlo, sento che la mia vena commentatrice è stata umiliata e bistrattata, sigh.

Poi mi tocca distogliere l’attenzione dal pc per non prendere a pugni la tastiera e se alzo gli occhi vedo Fidanzato che gioca a GTA facendo le cose più strane, tipo sparare con un kalashnikov dall’ultimo piano di un grattacielo verso il nulla, dopo essere arrivato là con un elicottero. Ehi, aspetta, un elicottero!? Ma questo è un trucco!! Ah, Fidanzato, non cambierai mai, meglio rivolgere l’attenzione nuovamente verso il monitor del mio pc.

Ho finalmente trovato il cardamomo, inaspettatamente. Ed era da un po’ che avevo messo gli occhi su questo, aspettavo solo il momento giusto e questa sera ho cominciato a sperimentare. Va bene, l’estratto di Anice&Cannella non prevede i semini del cardamomo, ma potevo non provare ad inserirli? E che sarà mai, e santo cielo! I risultati si vedranno fra 3 mesi minimo, per il momento, seguendo le istruzioni, agiterò con violenza una volta al giorno e riporrò in luogo fresco e buio. Si può usare in tutte le preparazioni che prevedono l’utilizzo della vanillina o anche della vaniglia in polvere. Col passare dei mesi dovrebbe sparire anche l’odore dell’alcol.

Visto che c’ero ho provato la stessa ricetta per ottenere un estratto di arancia e limone. Il vicino ci ha regalato degli agrumi bio del suo frutteto proprio ieri, era il caso di approfittare di un po’ loro scorza. Il resto la essiccherò con l’essiccatore appena rubato ai suoceri e la polverizzerò per conservarla per i periodi di magra.

Riporto qua le dosi per l’estratto, ma vi consiglio di controllare anche la ricetta linkata perchè parla di tante cose interessanti che si dovrebbero sapere sui baccelli di vaniglia.

Servono

35 g di zucchero
35 g di acqua
60 ml di alcol buongusto 95°
6 baccelli di vaniglia
1 pentolino
1 bottiglietta o un vasetto di vetro a chiusura ermetica
4 baccelli di cardamomo
Si scioglie lo zucchero nell’acqua e si porta ad ebollizione per 3 minuti a fiamma bassa. Si spegne, si mescola e si lascia raffreddare.
Aggiungere l’alcol allo sciroppo e mescolare ben bene. Aprire i baccelli di vaniglia con un coltello affilato, raschiare via i semini e metterli nel barattolino. Aggiungere anche i baccelli che rimangono, spezzettati in più parti. Aprire i baccelli di cardamomo, estrarre i semini e metterli nel barattolino. Coprire con la mistura di alcol e sciroppo, chiudere e agitare per bene. Riporre al buio e al fresco e agitare almeno una volta al giorno per i prossimi tre mesi. Anice&Cannella (d’accordo, Paoletta) consiglia di aggiungere anche eventuali pezzi di vaniglia che nei mesi userete durante le preparazioni.

Per quanto riguarda l’estratto di limone e arancia, il procedimento è uguale, ma ai semini vari ho sostituito la scorza di un’arancia e di un limone, sbucciati evitando di asportare la parte bianca che, credo, lo renderebbe un po’ amarognolo. Ho finalmente potuto riciclare quella bottiglietta dell’olio di cocco che ho conservato con tanta lungimiranza. Mi stupisco della mia previdenza, a volte.
Non mi resta che agitare e aspettare.

… E il vicino degli agrumi bio?

E’ stato ringraziato con un vassoietto di questi.

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Insalata di cavoletti al vapore con crema delicata al tofu.

Io non avevo mai assaggiato i cavoletti di Bruxelles, davvero, ma da oggi credo che non potrò più farne a meno.
Non so se sia dovuto a quella sensazione distorta di mangiare in un sol boccone un cavolo o a quel sapore delizioso che sprigionano quando si arriva a mordere il cuore, fattostà che questa cena è stata  leggera e deliziosa, sicuramente da rifare e variare. Così, per approfondire meglio.
Li ho visti che mi guardavano dalla cesta, questi cavoletti, stasera, dal fruttivendolo. Li ho spiati appesi sulle loro piantine nella strada che percorro per andare a lavoro. E senza neppure andare a sbattere su altre macchine o cartelli stradali.
Oggi era il giorno: sapevo che avrei dovuto provarli. Per la crema ho preso spunto da Azabel, ma non ho messo senape, aceto e olio perchè volevo sentire il sapore del cavoletto… sennò che prima volta sarebbe stata?

Ingredienti.

350 g di cavoletti di bruxelles
3/4 foglie di lattuga
8 gherigli di noci
una manciata di pinoli
2 cucchiai di olio EVO
2 spicchi d’aglio
il succo di un limone
100 g di tofu
150 g di yogurt di soia
sale qb

Procedimento.

Togliere la camicia all’aglio, farlo a pezzetti e lasciarlo riposare in una ciotola con i due cucchiai d’olio e un pizzico di sale.

Sciacquare i cavoletti, lasciarli asciugare, eliminare le foglie più esterne se sono rovinate e inciderle a croce. Cuocere al vapore per circa 15 minuti. Volendo nell’acqua si può aggiungere qualche spezie, per aromatizzarli in cottura. Io ho aggiunto una spezia dolciastra che ho comprato l’anno scorso sfusa e di cui ho dimenticato il nome.

Frullare il tofu, lo yogurt e metà del succo di limone insieme, sino a raggiungere una crema vellutata. Salare a piacere.

Affettare le foglie di lattuga e disporre sul piatto. Posizionarci sopra i cavoletti, condire col succo di limone rimasto e un pizzico di sale. Aggiungere le noci, i pinoli e condire con l’olio all’aglio. Accompagnare con la salsa al tofu.

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Panada della domenica.

La panada è un piatto regionale sardo: se ne contendono la maternità il paese di Assemini e quello di Oschiri. Io, per campanilismo, tifo per Assemini. E’ la nostra torta salata atavica, una sorta di pentola a pressione fatta di pasta. E’ apprezzatissima la versione onnivora, che solitamente contiene agnello e patate, agnello e piselli o anguille, e la pasta, “su croxiu”, viene lavorato con lo strutto.
Mia nonna, che nella sua vita ne avrà fatte almeno un migliaio, trova uno scempio la nostra personale versione, ma ha apprezzato la nostra curiosità, si è tappata il naso ed è venuta ad impartirci una lezione di panada. Bisogna sottolineare che lei le ha sempre cotte nel forno a legna ed in quel caso, il sapore che il piatto acquista è indescrivibile, una vera, autentica goduria.
Quella che ci ha cucinato per l’Epifania era di patate e carciofi spinosi scelti uno per uno dalle sue mani esperte e il sapore era strepitoso.
Dopo un paio di tentativi non proprio soddisfacenti in solitaria, con alcuni consigli in differita che la maestra ci ha concesso, siamo approdati a quello che si avvicina di più al sapore che stavamo cercando e siamo pronti per condividere questo successo col mondo. E’ un’esperienza a quattro mani e otto ganasce davvero indimenticabile.


Ingredienti per 3/4 persone.

Su Croxiu
500 g di farina 00
5 cucchiai di olio EVO
sale qb (assaggiare l’impasto)
acqua qb

Il ripieno
6 cuori di carciofi spinosi, aperti e privati della peluria centrale
4 topinambur *
1 bicchiere di olio EVO
3 cucchiai di bocconcini di soia bolliti per 10 minuti in acqua e salsa di soya, scolati e strizzati
1 mazzetto di prezzemolo
2 spicchi d’aglio
2 pomodori secchi
sale qb

* di solito si usano le patate, noi le avevamo finite. Se si vogliono sostituire i topinambur con le patate, è bene non esagerare, 2 di media grandezza andranno più che bene, perchè, assorbendo i liquidi in cottura, rischiano di lasciare il ripieno troppo asciutto

Procedimento.

Per non  avere un impasto troppo o troppo poco salato è bene sciogliere del sale in due o tre bicchieri d’acqua e assaggiare l’acqua salata. Se la sapidità asseconda il nostro gusto è fatta e possiamo cominciare ad impastare la farina, l’olio e l’acqua sino ad ottenere una palla elastica e liscia, che avvolgeremo in un panno e lasceremo a riposare.
Tritare finemente il prezzemolo, l’aglio e i pomodori secchi. Dividere i cuori di carciofo in tre parti, sbucciare i topinambur e farli a fette non troppo spesse (1 cm).
Riprendere l’impasto e dividerlo in due pezzi, uno un po’ più piccolo che servirà per il coperchio mentre l’altro più grande sarà la nostra pentola. Stendere i due dischi raggiungendo uno spessore massimo di mezzo centimetro. Prendere il disco più grande e sistemarlo delicatamente su una teglia tonda e bassa. Al centro del disco spargere un po’ di pomodoro secco,aglio e prezzemolo tritati, poi stratificare il topinambur, i carciofi e i bocconcini di soia e spargere nuovamente prezzemolo,aglio, pomodoro  secco e un pizzico di sale. Bisogna fare attenzione a non disporre parti appuntite verso la pasta perchè potrebbero bucarla in cottura e tutto il condimento verrebbe fuori dalla pentola di pasta. Prendere i lembi del disco grande e  avvicinarli verso il centro facendo delle piccole pieghe che andranno appiattite bene. Aggiungere il bicchiere d’olio dentro il nostro contenitore di pasta.In pratica deve essere ricreato una sorta di vulcano ma con l’imboccatura molto più larga di quella del vulcano. Lì andrà posizionato il tappo, schiacciato contro i bordi della nostra pentola di pasta e sigillato per bene. Per chiuderla il movimento della mano è:
-prendere i due lembi di pasta tra pollice e indice
-il pollice fa un piccolo movimento verso il basso e l’indice verso l’alto, schiacciando contemporaneamente la pasta
-le due dita si spostano di poco e fanno lo stesso movimento su un altro pezzettino di pasta
e così via, sino ad ottenere una chiusura ondulata. Ho qualche foto del procedimento che ho scattato il giorno della lezione di panada, magari così è più comprensibile.

Accendere il forno a 180° C, infornare per circa 40 minuti sul ripiano più basso. Controllare la doratura del coperchio: se dovesse risultare molto più colorato del resto della panada, abbassare la temperatura a 160°C e continuare a cuocere per altri 20 minuti.

La nostra panada ha impiegato quasi un’ora e mezzo.

Tradizionalmente, una volta sfornata, le viene tolto il coperchio, il condimento viene rovesciato in un contenitore, la pasta viene divisa in tanti pezzi e poggiata sopra il condimento, in modo che ognuno possa prendere un pezzo di pasta e poi servirsi il condimento che desidera.

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Avventure panificatrici di un Erbivoro.

Quando ho visto i panini di semola di Felicia, ho avvertito una sensazione d’innamoramento istantanea e il dubbio di essersi già incontrati in una vita precedente o poche settimane prima ha alimentato e riacceso la fiamma.

Ma al momento stavo sbocconcellando la mia colazione, proiettandomi mentalmente nel mio triste ufficio, e non ho potuto coronare la mia personale storia d’amore con questi panini. Loro, nel frattempo, mi guardavano ammiccanti, senza farsi avvicinare. E’ o non è una crudeltà da parte loro, questa?!
Devo essere sincera: visti il loro charme e la loro eleganza, con quella riga in mezzo che fa tanto “bon ton”, potevano permetterselo.

Sabato mattina, dopo una veloce riassettata alla reggia, mi sono tuffata nella dispensa per estrarne tutto l’occorrente e trasformarmi nella novella doCtor Frankenstein, imitando le espressioni e le smorfie di Gene Wilder. Igor era uscito… quale gobba?!

Dirò subito che, ahimè!, la storia d’amore era imperfetta dall’inizio, signori della corte, eh sì! Nel mio castello non è ancora stata inventata la pasta madre, nonostante vari buoni propositi e tanta documentazione. Avevo ancora metà della bustina di lievito madre della Antico Molino Rosso e mi sono arrangiata così: 400 g di semola fine di grano duro, 100 g di farina 00, 15 g di lievito madre in polvere appena menzionato. Per il resto ho usato le dosi e il procedimento di Feli e sono andata ad assillarla sul suo blog coi miei esperimenti scioccherelli.

Ma il destino stava preparando un’altra amara sorpresa. Di lì a breve avrei dovuto abbandonare l’impasto che tanto solertemente lavorava sotto il suo straccetto e la sua copertina. Pensavo che sarebbe scappata dal forno, come Frankenstein Junior scappò dalla sua fredda lettiga. Non sarei tornata a casa sino a tardi e dovevo trovare una soluzione: l’impasto lievitava già da quattro ore e si stava espandendo solo dalla parte sinistra. Strana faccenda.

Google mi è venuto in aiuto come un piccolo grillo parlante e mi ha suggerito di mettere l’impasto in frigo, nello scomparto più basso,coperto con pellicola trasparente. Il giorno dopo avrei potuto tirarlo fuori, aspettare qualche oretta e poi lavorarlo nuovamente. In più mi ha suggerito di comunicare a Feli che avrei fatto in questo modo. Davvero, non ho attitudini da stalker. Google mi ha detto di farlo.
Ha detto anche che nel forum di couquinaria aveva sentito dire che una lievitazione di questo tipo aiuta a far maturare l’impasto, poichè  concede agli enzimi della farina il tempo per scindere le proteine del glutine in elementi più semplici, regalando al nostro intestino un impasto più leggero e digeribile.
Appreso ciò, con molte calde lacrime ho abbracciato il mio impasto, salutandolo e lasciandolo nello scomparto più basso, in compagnia delle carote, già più avvezze di lui a quell’ambiente freddo, e della mezzaluna sorridente di zucca.

Con questo piccolo imprevisto ho avuto l’occasione di dare vita al cosiddetto ‘pane della domenica’. Catapultandomi giù dal lettone nel quale Fidanzato dormiva, ignaro del piccolo tradimento che stava per consumarsi, ho aperto lo sportello del frigorifero e… oh! Surprise! il mio amato stava forse cercando di tradirmi, uscendo dal ciotole e dirigendosi verso le carote?! Ma come!? Google, non mi avevi detto che a 5°C la lievitazione si sarebbe fermata eh? Google!?

Stupita, un po’ spaventata dal tradimento appena scoperto, allontano quei due e porto l’impasto sul piano di lavoro, recupero le istruzioni di Feli e al momento di dare colpetti ai novelli triangolini, ci metto un po’ più di foga, li arrotolo, gli faccio la riga in mezzo, forse un po’ troppo pronunciata, li copro per bene e aspetto che dimentichino di essere stati in quel frigo, galeotto, acclimatandosi.

La riga in mezzo è troppo pronunciata, decisamente: per una capigliatura perfetta basta copiare quelli ispiratori. Io, ancora scossa dalla scoperta, ho esagerato un po’ col coltello: una l’ho anche sbagliata.

Poco male, dal forno ha cominciato a spandersi un profumino delizioso. Nel frattempo anche Fidanzato mi aveva raggiunta in cucina. Il tempo di preparare una spremuta arancia-pompelmo bevuta al volo, controllare i pargoli, capire che erano cotti e la nostra colazione è stata spremuta e pane sofficcissimo e profumatissimo. Amorevoli. Grazie Feli!

Muffins salati ripieni di salsa agli spinaci con insalata freschissima.

Non è sicuramente un piatto di cucina crudista, però l’insalata è la versione mignon del pranzone che ci siamo sbafati ieri. Buonissimo, fresco, leggero e saziante. In più c’era la buccia dell’arancia grattugiata, un quarto di cipolla rossa messa a bagno per 20 minuti, lavata con sale e limone, sciacquata e strizzata, una manciata di semi di zucca sgusciati, una manciata di pinoli, 8 noci (sgusciate eh!), 1 mela fatta a cubetti e tanta polpa d’arancia… buonissima, davvero!

Oggi, invece, ci siamo mangiati i muffins salati. Mi tentano sempre molto, soprattutto se accompagnati a delle salsine fresche fresche e ad un’insalata con la frutta. La base è ispirata a questi bellissimi creati da Loira. Non so perchè i miei non siano venuti così lucidi sopra, accidenti, mi ispirava moltissimo quella lucentezza là. Ma non facciamoci troppe domande: quando si parla di muffins e di una serata passata a cercare pirottini della dimensione giusta senza successo, mi posso accontentare di non aver dato alle fiamme lo stampo che ho in casa per estrarre i corpicini dei bricconcelli che tanto si divertono a stare là dentro mentre io sto morendo di fame e Fidanzato pure.

Per il ripieno:
50 g di spinaci freschi, ben lavati e sgocciolati
5 g di prezzemolo fresco
25 g di olio EVO
1 pizzico di sale
2 cucchiaini di pinoli tostati
il succo di una fettina di limone

100 g di tofu
2 cucchiai di panna di soia

Per i muffins (6):
50 g di farina di ceci
50 g di farina di kamut
30 g di fecola di patate
35 g di panna di soia (2 cucchiai abbondanti)
2 cucchiai di olio EVO
7 g di sale
2 cucchiaini di lievito istantaneo
1 pizzico di curcuma
1 pizzico di pepe
1 spicchio d’aglio grattugiato
acqua q.b.

Prima bisogna preparare il ripieno: frullare tutti gli ingredienti ad eccezione della panna e del tofu con un frullatore ad immersione e mettere da parte.

In una ciotola setacciare bene le farine, il lievito, le spezie e il sale. Aggiungere l’aglio grattugiato. Aggiungere poi la panna e l’olio e amalgamare per bene. Aggiungere pian piano l’acqua sino ad ottenere un impasto che ha la densità simile a quello per la torta. L’ho fotografato ma non credo che si capisca bene. Interpretatelo come una buona intenzione.

Niente pirottini, nemmeno questa volta. Pare che li producano solo per fare cose piccole piccole, oppure sbaglio io ad andarli a cercare nel reparto cucina del supermercato, chissà.
Quindi ho messo un piccolo cerchietto di carta forno all’interno di ogni nicchietta ed ha funzionato, anche se al momento di estrarli c’è stato un momento di raccolta preghiera, sfociato poi nel panico. Ma nessuno si è fatto male, per fortuna. Credo che nemmeno Fidanzato, assoldato per fare le foto del piatto mentre io ingaggiavo la solita lotta con lo stampo, si sia accorto di nulla. Devono essere stati i crampi della fame, ha persino affermato che era tutto buonissimo!

Riempire per 2/3 le nicchiette dei muffins, aggiungere un cucchiaino di ripieno al centro e coprire con un altro po’ di impasto. Infornare a 180° C per 40 minuti.

Frullare il ripieno avanzato con il tofu e la panna e mettere da parte. D’ora in avanti chiameremo questo intruglio ‘melma verde’, per distinguerlo dal ‘ripieno’.

Per accompagnarli ho preparato un’insalata velocissima con mezza lattuga e 1/4 di radicchio rosso fatti a listarelle, mischiati con gli spicchi di mezza arancia pelati a vivo, 2 cucchiaini di pinoli, una spolverata di pepe e una vinaigrette composta dal succo di mezza arancia, 1/2 cucchiaio di aceto balsamico e 2 cucchiai di olio di sesamo, con una presa di sale.

Ho impiattato creando tre piccoli letti tondi di ‘melma verde’ e posizionando un muffin sopra ognuno. A fianco ho messo l’insalata.

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