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Tortilla di patate (V)

La prima frase è sicuramente quella più difficile da scrivere, dopo tanto tempo. Ma senza rendertene conto l’hai scritta. E hai scritto anche la seconda e la terza. E continui a scrivere, un po’ come quando a scuola piegavi a metà per il lungo il foglio protocollo e rimanevi per un po’ con la penna per aria, rimuginando sulla consegna.
Sì, va bene. Avrei voluto scrivere un sacco di ricette e di post questa estate. Ma per poco tempo, stanchezza, pigrizia o dimenticando di fare le foto, alla fine non ho lasciato qui nemmeno un pensiero. E neppure sui blog che seguo (ma devo ammettere che non ho perso quasi nemmeno un post dei miei preferiti… commentare è un’altra cosa, ohibò!).
Siamo arrivati praticamente all’autunno, posso chiudere un’estate che non ho annotato con un post che contiene una zucchina? Mi sembra il minimo.
E a proposito di patate, siano sempre lodate.
E a proposito di tortilla, abbiamo un nuovo amico ed è catalano. Una volta gli abbiamo preparato la tortilla di patate di cui parlerò nel dettaglio più avanti. E se l’è spazzolata. Non ne è rimasto nemmeno un pezzettino. La ricetta originale proviene dal carinissimo blog di Hiulits. Io ho aggiunto solo qualcosa e ho accettato il consiglio del bicarbonato che, effettivamente, la lascia più morbida a fine cottura. Il nostro amico ci ha dato un consiglio per il taglio delle patate.
“Tu non debi tagliarle tutte uguali. Le debi tagliare a pezzi così ‘Flap Flap’, così esce la fecola di patate”.
A parte non aver ricevuto nessuna risposta alla domanda ‘La fecola di patate esce già in polvere?’, cosa che un po’ mi ha indisposto, la traduzione del ‘Flap Flap’ è impossibile. Il suono è stato accompagnato da un gesto di mano che prende una patata, mano che prende un coltello, si avvicinano e il coltello taglia pezzi irregolari di patata. Così ho fatto, ed effettivamente le patate si appiccicano molto meno in cottura: non essendo regolare la superficie del taglio, c’è una possibilità più bassa che due pezzi aderiscano. Ma sulla fecola non so dare spiegazioni. Dalla prova empirica ho solamente dedotto che no, la fecola non esce in polvere.


Ingredienti.

2 grosse patate (600 g circa)
1/2 cipolla rossa (60 g circa)
1/2 cipolla bianca (60 g circa)
1 spicchio d’aglio (7 g circa)
1 piccola zucchina (60 g circa)
4 cucchiai di farina di ceci (75 g circa)
4 cucchiai di farina di mais (75 g circa)
2 cucchiaini di bicarbonato di sodio (10 g circa)
2 cucchiaini di sale (7 g circa)
16 cucchiai di acqua fredda (200 g circa)
1 bustina di zafferano
10 cucchiai di olio d’oliva

Procedimento.

In una padella abbastanza alta e capiente mettere a scaldare l’olio, su un fornello di medie dimensioni, a fiamma bassa.
Pelare le patate e tagliarle a pezzi irregolari non troppo spessi (la parte più spessa deve essere grossa massimo 5 mm).


Versare le patate nell’olio caldo e lasciar friggere, spadellando di tanto in tanto, per circa 10 minuti.


Nel frattempo tagliare a piccoli pezzi le cipolle e la zucchina, scamiciare lo spicchio d’aglio e tagliarlo a metà, privandolo del germoglio interno.


Setacciare in una ciotola le due farine, lo zafferano e il bicarbonato, aggiungere l’acqua man mano, mescolando con una frusta sino a quando si sarà formata una pastella un po’ densa. Mettere in frigo a riposare.


Aggiungere la cipolla, l’aglio, la zucchina e il sale alle patate in cottura e lasciar cuocere sino a quando la zucchina si sarà leggermente ammorbidita e le cipolle saranno un po’ dorate. Mescolare, di tanto in tanto.
A cottura ultimata, scolare dall’olio le verdure, eliminare lo spicchio d’aglio e lasciar raffreddare.


Unire alla pastella, in modo che questa ricopra per bene tutte le verdure.
Ungere una padella con un po’ dolio e, appena calda, versarci dentro il composto, compattandolo con una spatola dai bordi verso il centro.

Lasciar dorare bene da entrambi i lati. Per girare la tortilla si può usare un coperchio di pentola con un diametro leggermente più piccolo di quello della padella.

Servire tiepida. La sottoscritta l’ha gustata con della buona confettura di pomodoro, basilico e vaniglia, mentre chi ha problemi di comunicazione coi pomodori l’ha accompagnata con della salsa yogurt-senape.

 

Prima di salutarvi vorrei segnalare un’iniziativa carinissima: il 7 ottobre è l’International Tulip Guerrilla Gardening Day. Piantiamo bulbi di tulipani in giro per le città? Io ho già preso di mira il triangolino di terra che c’è nel mio condominio!

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La città vecchia.

Sono pochi i posti in cui ho la certezza di rilassarmi e sentirmi a mio agio quasi fossi a casa mia.
Non ci sono parole per descrivere la sensazione di benessere che provo quando io e Fidanzato arriviamo in questo paese fuori dal tempo e ancorato allo spazio che è Osini. E questa domenica, per la prima volta, ho visitato la città vecchia, ciò che è rimasto del paese dopo l’alluvione del 1951.  Quando l’acqua è arrivata la gente ha abbandonato il paese, perchè troppo vicino al fiume, e si è spostata più in alto. Le case vecchie sono rimaste là, quasi come un monumento alla vita di un tempo. E’ una strana sensazione camminarci in mezzo, è emozionante riconoscere dettagli di tempi passati, camminare per strade non ricoperte di cemento e pensate per le persone. Eccola qua.

Avventure panificatrici di un Erbivoro.

Quando ho visto i panini di semola di Felicia, ho avvertito una sensazione d’innamoramento istantanea e il dubbio di essersi già incontrati in una vita precedente o poche settimane prima ha alimentato e riacceso la fiamma.

Ma al momento stavo sbocconcellando la mia colazione, proiettandomi mentalmente nel mio triste ufficio, e non ho potuto coronare la mia personale storia d’amore con questi panini. Loro, nel frattempo, mi guardavano ammiccanti, senza farsi avvicinare. E’ o non è una crudeltà da parte loro, questa?!
Devo essere sincera: visti il loro charme e la loro eleganza, con quella riga in mezzo che fa tanto “bon ton”, potevano permetterselo.

Sabato mattina, dopo una veloce riassettata alla reggia, mi sono tuffata nella dispensa per estrarne tutto l’occorrente e trasformarmi nella novella doCtor Frankenstein, imitando le espressioni e le smorfie di Gene Wilder. Igor era uscito… quale gobba?!

Dirò subito che, ahimè!, la storia d’amore era imperfetta dall’inizio, signori della corte, eh sì! Nel mio castello non è ancora stata inventata la pasta madre, nonostante vari buoni propositi e tanta documentazione. Avevo ancora metà della bustina di lievito madre della Antico Molino Rosso e mi sono arrangiata così: 400 g di semola fine di grano duro, 100 g di farina 00, 15 g di lievito madre in polvere appena menzionato. Per il resto ho usato le dosi e il procedimento di Feli e sono andata ad assillarla sul suo blog coi miei esperimenti scioccherelli.

Ma il destino stava preparando un’altra amara sorpresa. Di lì a breve avrei dovuto abbandonare l’impasto che tanto solertemente lavorava sotto il suo straccetto e la sua copertina. Pensavo che sarebbe scappata dal forno, come Frankenstein Junior scappò dalla sua fredda lettiga. Non sarei tornata a casa sino a tardi e dovevo trovare una soluzione: l’impasto lievitava già da quattro ore e si stava espandendo solo dalla parte sinistra. Strana faccenda.

Google mi è venuto in aiuto come un piccolo grillo parlante e mi ha suggerito di mettere l’impasto in frigo, nello scomparto più basso,coperto con pellicola trasparente. Il giorno dopo avrei potuto tirarlo fuori, aspettare qualche oretta e poi lavorarlo nuovamente. In più mi ha suggerito di comunicare a Feli che avrei fatto in questo modo. Davvero, non ho attitudini da stalker. Google mi ha detto di farlo.
Ha detto anche che nel forum di couquinaria aveva sentito dire che una lievitazione di questo tipo aiuta a far maturare l’impasto, poichè  concede agli enzimi della farina il tempo per scindere le proteine del glutine in elementi più semplici, regalando al nostro intestino un impasto più leggero e digeribile.
Appreso ciò, con molte calde lacrime ho abbracciato il mio impasto, salutandolo e lasciandolo nello scomparto più basso, in compagnia delle carote, già più avvezze di lui a quell’ambiente freddo, e della mezzaluna sorridente di zucca.

Con questo piccolo imprevisto ho avuto l’occasione di dare vita al cosiddetto ‘pane della domenica’. Catapultandomi giù dal lettone nel quale Fidanzato dormiva, ignaro del piccolo tradimento che stava per consumarsi, ho aperto lo sportello del frigorifero e… oh! Surprise! il mio amato stava forse cercando di tradirmi, uscendo dal ciotole e dirigendosi verso le carote?! Ma come!? Google, non mi avevi detto che a 5°C la lievitazione si sarebbe fermata eh? Google!?

Stupita, un po’ spaventata dal tradimento appena scoperto, allontano quei due e porto l’impasto sul piano di lavoro, recupero le istruzioni di Feli e al momento di dare colpetti ai novelli triangolini, ci metto un po’ più di foga, li arrotolo, gli faccio la riga in mezzo, forse un po’ troppo pronunciata, li copro per bene e aspetto che dimentichino di essere stati in quel frigo, galeotto, acclimatandosi.

La riga in mezzo è troppo pronunciata, decisamente: per una capigliatura perfetta basta copiare quelli ispiratori. Io, ancora scossa dalla scoperta, ho esagerato un po’ col coltello: una l’ho anche sbagliata.

Poco male, dal forno ha cominciato a spandersi un profumino delizioso. Nel frattempo anche Fidanzato mi aveva raggiunta in cucina. Il tempo di preparare una spremuta arancia-pompelmo bevuta al volo, controllare i pargoli, capire che erano cotti e la nostra colazione è stata spremuta e pane sofficcissimo e profumatissimo. Amorevoli. Grazie Feli!

2011 in review

WordPress mi ha mandato questo piccolo report, l’ho trovato molto carino e ho voluto condividerlo.
Grazie a tutte/i e buon inizio anno!

The WordPress.com stats helper monkeys prepared a 2011 annual report for this blog.

Here’s an excerpt:

A San Francisco cable car holds 60 people. This blog was viewed about 1.800 times in 2011. If it were a cable car, it would take about 30 trips to carry that many people.

Click here to see the complete report.

HELP!

Ho bisogno del vostro aiuto.

Tempo fa, quando mi sfondavo di letture culinarie a sfondo erbivoro, leggevo un blog che mi piaceva moltissimo ma che non ho mai commentato (credo…la mia memoria, con l’età che avanza, è sempre peggio!). Beh, comunque. Un giorno su questo blog che non ricordo, l’autrice, vegan, consigliò un libro che era praticamente la bibbia degli ingredienti. Era, in pratica, un libro che spiegava come cuocere o preparare gli alimenti, tutti. Infatti l’autrice aggiungeva che lei difficilmente avrebbe messo in pratica tutti quei consigli e quelle dritte, per ovvi motivi, ma che comunque questo libro era tra le sue letture preferite, perché spiegava anche qualche principio di chimica abbinato ai sapori, agli odori e alla trasformazione del cibo.

Un ulteriore indizio. Nel post c’era l’immagine della copertina del libro, mi sembra di ricordare che ci fosse una mucca o un pesce. Beh sì, sono molto simili. E anche qualche altro elemento, sopra uno sfondo, credo, a quadrettoni. Il libro era in inglese.
Qualcuno conosce questo libro o ha letto il blog in cui ne è stata pubblicata la recensione?

Mi è venuta la fissa di trovarlo, questo mese, per poterlo leggere anche io. Ho fatto una miriade di ricerche con parole chiave improponibili, ma nulla.

Qualche suggerimento?

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Erbivori cacciati dalle palestre che scattano foto a caso.

Sabato scorso ho imparato che le feste dei poppanti, con Nipote più timidone del solito “affalcato” sul mio gracile braccino, mi fiaccano e mi lasciano dolorante per giorni, peggio che dieci lezioni di pilates di fila a velocità massima.
D’altronde lottare per il posto di zia preferita implica anche piegarsi a tirannie di ogni genere, quali lasciarsi cavare entrambi i bulbi oculari con un sorriso, farsi coinvolgere in balli ripetitivi all’estremo sino a sentirsi disorientati, giocare sino a perdere coscienza di sé stessi e tante altre amenità che ben conosce chi mira al titolo suddetto come me.
A dirla tutta io mi diverto un mondo, forse un pelino più di Nipote, ma la mia veneranda età non mi dà tregua e mi ricorda in maniera sempre più antipatica e incalzante che questo genere di eccessi mal si addicono ad una signora di una certa come me.
Perciò a festa finita, dopo aver riconsegnato il prezioso pargolo agli stanchi genitori, mi sono buttata a letto con i tappi nelle orecchie e sono praticamente svenuta mentre i vicini di sopra si davano da fare nel far cadere svariati oggetti ripetute volte, aprire e chiudere cassetti e tacchettare allegramente di qua e di là, come riportatomi fedelmente da Fidanzato la mattina seguente.
La domenica mattina dovrebbero abolire ogni tipo di sveglia ma io ho scelto un compagno di vita che fa tremilasettecentoventuno cose al millisecondo e sono stata buttata giù dal letto che ancora non erano giunte le sei del mattino.
Perchè? Per quale evento ci stavamo preparando? Eh?
Ma l’esame di cintura nera di una delle arti marziali a caso che svolge Fidanzato, chiaramente! E lui ha pensato bene di coinvolgermi nominandomi fotografa ufficiale dell’evento, fatto che svela altri aspetti del carattere di Fidanzato, non ultimo dei quali la semplicità e la generosità nell’assegnare epiteti e compiti importanti.

Chiaramente la palestra in cui codesto maestoso evento avrebbe avuto luogo si trovava in un posto a ben tre ore circa di macchina dal nostro nido d’amore, così, con le cispe ancora penzolanti, ci siamo diretti, alla cieca, verso la nostra meta. Una volta arrivati a destinazione abbiamo scoperto che:

a) non era possibile per gli accompagnatori assistere all’esame
b) come conseguenza di a), non era possibile per gli accompagnatori fare foto agli aspiranti primi Dan(ni) (ah ah ah …)

Sconsolata come non mai, non potendo mettere alla prova le mie doti da fotografa in erba, mi sono accompagnata ad una coppia di altri sconsolati spettatori mancati per fare un giro del paese durante il quale il Lui della coppia ripeteva continuamente “Beh, dai. Almeno è una bellissima giornata!”

Così ci siamo avventurati per questo paesello che ospita più chiese che case e, come per magia, siamo finiti a scattare foto nel cimitero. Cosa che non avevo mai fatto in vita mia e che non è stata affatto gradita al custode che, raggiungendoci, avvisato e scortato da uno scagnozzo, ha voluto sapere come mai stessimo scattando foto e quale uso dovessimo farne, informandoci che non era possibile scattare foto dentro il cimitero.

Quindi?

L’abbiamo rassicurato dicendogli che ne scattavamo una dose pari a quella consentita per uso personale e ci ha lasciati andare senza torcerci un capello. Ingenuo! Villico! Non poteva nemmeno sospettare che le foto del suo cimitero sarebbero state pubblicate su questo blog per accrescere la mia fama, la mia gloria e il mio sfavillante potere! Perciò caro il mio signore, beccati queste

e anche queste

e di queste cosa mi dici, eh? Dov’è il tuo Dio adesso?

Bene, diamoci un contegno.

Prima di pranzo siamo anche riusciti a fare un salto al mare. Chiaramente la passeggiata è stata condita dal “Beh dai. Almeno è una bellissima giornata!” di rito. Come dargli torto?

Certo, la spiaggia era un po’ strana, aveva delle inquietanti chiazze nere, forse il segno di qualche schifezza finita in mare tempo fa, e ho passato un po’ di tempo a fotografare delle pietroline che ho trovato bellissime.

Salvo poi scoprire che erano dei pezzetti di plastica.

Dopo la passeggiata, tornati alla palestra in cui Fidanzato si vanta di aver conquistato una cintura nera che nessuno però ha ancora visto, ci siamo fiondati in un carinissimo ristorantino poco distante, in cui ci hanno ingozzati di cose buonissime e per un prezzo onestissimo siamo andati via a stomaco pieno ma pieno pieno.

Che bellissima giornata. Davvero.

Perché nei regali utili we trust.

Oggi è il compleanno del cognato erbivoro. Quale occasione migliore per regalargli un assortimento di prodotti tutti vegan?
Bistecchine e bocconcini di soia, svariate confezioni di crema spalmabile dolce, alle nocciole e al cacao, panna di riso da cucina, mozzarisella, orzo per la moka, tofu e biscotti di vario genere. Per finire, una bottiglia di passito bio per accompagnare la torta e i festeggiamenti di stasera, il tutto chiuso dentro una bellissima scatola a pois, utile come sfondo per le foto, utile per conservare oggetti o vestiti (credo che verrà apprezzata maggiormente da mia cognata).

Non mi sono fatta sfuggire degli utilissimi pirottini in silicone che mi serviranno per portare a termine la missione dei pacchi misteriosi, degli oli e dei vasetti ricoperti di stagnola.
Eccoli, poggiati sul coperchio della scatola del cognato. Cioè della cognata.

A questo punto gli indizi dovrebbero esserci proprio tutti.

 

 

 

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V for …

V for VITTORIA!

VIVA!

VIA!

VENDETTA!

VAFFANCUORE!

VENE VARICOSE!

VECCHIAIA!

DITA NEGLI OCCHI!

Ciao eh!

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Erbivori pigri scoprono che andare in palestra è cool.

Fidanzato è un grande sportivo. Pratica qualsiasi sport, lui. Ha giocato per anni a pallavolo, si è dedicato da sempre al ciclismo, segue un corso di capoeira e uno di judo. Io, invece, sono sempre stata abbastanza pigra e non ho mai fatto nulla sino ad Aprile scorso. La palestra, con quella musica zarra a tutto volume e tutte quelle persone lucide coi muscoli in tensione, porta la mia misantropia a livelli allarmanti. Gli sport di squadra mi piacciono, ma in un mondo dove la competizione è dove meno te l’aspetti, mi farebbero sentire troppo responsabile relativamente ad eventuali e molto probabili fallimenti dovuti alla mia coordinazione motoria e alla mia prestanza fisica.
Mesi fa Fidanzato ha cercato di convicermi a seguire il coso di capoeira con lui, ma io non ho voluto sentire ragioni: non posso farcela a stare così vicina a persone sudate che conosco a malapena. Sì, è una scusa, e anche pessima, però io ai miei 40 cm di spazio personale non voglio rinunciarci. Abbiamo anche comprato una bici, ma l’ho usata solo 3 o 4 volte, tornando puntualmente sfatta e dolorante (sì, perchè maledetto quel sellino, maledetto!!!).

Insomma, per aggiungere un’altra scusa, diciamole tutte: la pigrizia è una pessima abitudine che ho acquisito da mia madre, bradipona number one.
Così, per redimere me e lei in un colpo solo, ad Aprile scorso le ho proposto di frequentare un corso di pilates. Non sto qui ad elencare la sua lunga sfilza di pretesti per non cominciare una cosa del genere, dico solo che è partita dal fatto che non aveva tempo ed è arrivata al fatto che non aveva tempo. Insomma, non ha bruciato nemmeno calorie per dire che non ci voleva andare: si è buttata sulla scusante riassuntiva del tempo.
Non ricordo nemmeno come, ma alla fine l’ho convinta a fare l’iscrizione con me e ad andare alla lezione di prova.
Ricordo, invece, la lezione di prova, quel mitico pomeriggio in cui ho realizzato di avere il fisico messo peggio di quello di mia nonna. L’ora di pilates è volata, ma alla fine della lezione ho scoperto di avere punti del corpo sommersi dall’adipe che urlavano pietà e/o vendetta. Anche mia madre non se la passava molto bene, ma abbiamo continuato a seguire quasi tutte le lezioni sino alla chiusura estiva della palestra.
Ad ottobre ho ripreso a seguire il corso, ma mia madre mi ha abbandonata. Nel frattempo, con i buoni propositi del dopo estate, il corso si è popolato di ragazzine, madri con le relative figlie, coppie anziane e uomini per nulla aggraziati – il quarantenne col macchinone, i fuseaux e la faccia da ‘sono troppo figo’, che mastica la gomma come un lama navigato, è l’apoteosi di non scrivo cosa, perchè al momento non mi viene un insulto adeguato.
Io ho trovato il mio sport, vado due volte a settimana e torno a casa leggera, a volte solo con la forza di buttarmi sotto la doccia, altre iperattiva. L’insegnante è molto in gamba, perchè la rende una disciplina dinamica, sceglie sempre delle ottime colonne sonore e poi ci fa fare quegli ultimi 5 minuti di defaticamento che mi permettono di uscire da là con le gambe molli e col sorrisone. L’unica cosa che non riesco ancora a digerire è il fatto di dovermi stendere sul materassino sudato da chissà chi o di poggiare la nuca sulla pallina sudata da chissà chi la volta precedente, ma ci stiamo lavorando. Per il momento, BLEAH è l’unica parola che riassume le mie smorfie durante determinati esercizi, ma non vorrei essere esclusa dal branco portando il mio materassino con disegnate le figure per fare strechting. Sia mai che pensino che li schifo.

Per finire, anche io diventerò così: brava, figa e indifferente mentre assumo posizioni innaturali.

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Fashion Blog(S).

Ho scoperto una nuova passione, ultimamente: seguire i fashion blog.
Non il fashion in generale, che non capisco e non commento, ma proprio questo tipo di blog curati da ragazze che si dilettano nel dare consigli di stile.
Ho scoperto anche che quelli che riesco a seguire meglio propongono uno stile vintage (Keiko Lynn) oppure sono curati da autrici che hanno uno stile molto accattivante, ed in questo caso mi riferisco allo stile letterario (Sarinski, La Connie).

Io nutro un profondo sentimento di invidia mista a rispetto ed ammirazione verso queste persone – ma esistono fashion bloggers maschi?
Ammiro, invidio e rispetto chiunque possa svegliarsi e, sistemandosi per uscire, decidere di quale colore sarà lo smalto, la sfumatura dell’ombretto, la borsa adatta per l’occasione d’uso*, il colore delle calze e via discorrendo.
Volevo approfittare di un sentimento basso come quello dell’invidia per sfogare la fashion blogger che è in me e presentare al mio nutrito pubblico qualche mio outfit degno di nota, secondo il mio modesto parere.
Ci sto ancora lavorando, perciò le foto a figura intera saranno pubblicate entro la prossima settimana.
Per il momento lascio qui qualche assaggio.

Shoes with cow: De Fonseca
Socks: Upim (once upon a time…)
Trousers: Tezenis

* Ringrazio Enzo e Carla per avermi insegnato codesto termine ma soprattutto il mio tempo libero che mi permette di sguazzare in siffatto trash per almeno una o due ore al giorno.

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