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Incontri e cestinetti di frolla ripieni di crema vegan di Dona.

Mi si perdoni la sparizione, ma ogni tanto mi prende così.
Quel senso di pigrizia passeggero che si protrae anche per un mese. Lo scatto della coscienza che dice ‘E mò basta!’, si alza dal divano, fa una cosa molto velocemente e poi ci si riaccascia di nuovo, come se nulla fosse accaduto.
Sono stati giorni di viaggi, di gare, di foto, di orto, di serie televisive. Chi non ha mai visto ‘Mad Men’? Rischiando anche di spoilerare un po’, vi dico solo che è quella serie americana ambientata negli anni ’60/’70 che racconta la vita di un’agenzia di pubblicitari che trombano come ricci.
C’è di più, chiaramente, ma la frequenza e le situazioni improponibili pensate dagli sceneggiatori per fare accoppiare i personaggi, in particolar modo il protagonista, sono quasi imbarazzanti.
Però è una bella serie televisiva, curata nei dettagli dell’ambientazione: io e Fidanzato siamo rimasti bloccati in un campo di forza situato tra il divano e il televisore per settimane, andando a dormire tardissimo, trascurando blog e letture varie, solo per vedere che senso avrebbe preso la trama.

E quindi eccomi qua, con una ricetta di quasi un mese fa. Era pronta da pubblicare, eh.
Poi avvenimenti imprevisti hanno preso la meglio sulla mia voglia di condivisione ed eccoci qui.

Fortunatamente (o stranamente) ho segnato tutto. Ma se anche non avessi segnato il necessario, l’idea è stata scopiazzata dalla ricetta della crostata pere e creme Vegan (che io leggo con accento francese chic) postata da Dona, tempo fa.

Per la frolla alle nocciole.
Ingredienti.

90 g di nocciole
40 g di olio EVO
40 g di acqua
90 g di farina
30 g di malto di riso
20 g di zucchero di canna
scorza di un’arancia bio
1 cucchiaino di estratto di cardamomo e vaniglia
1 pizzico di bicarbonato di sodio
1 pizzico di lievito per dolci

Procedimento.

Tritare in un mixer le nocciole, riducendole in una farina abbastanza grossolana. Unire tutti gli ingredienti in una ciotola, impastare fino a formare una palla compatta da lasciar riposare in frigo, coperta per mezz’ora.
I più fortunelli possidenti di stampini che consentono di creare le tartellette dovrebbero usare quelle, senza lamentarsi. Chi, come me, è sempre poco dotato di attrezzi utili, potrà arrangiarsi con gli stampini mignon per muffins, stendendo la sfoglia alta circa 5 mm e ritagliando con uno stampo da biscotti tondo tante piccoli cerchi.
Posizionare uno stampino al centro del cerchio di pasta e sollevare i bordi di quest’ultimo cercando di farli aderire alle pareti dello stampino, creando un piccolo cestino. Capovolgere su una placca da forno e cuocere in forno caldo a 190° C per circa 20 minuti, o sino a che non si sono “abbronzati” un po’. Sfornare, staccare gli stampini e lasciar raffreddare.

Nonostante il lavoro certosino nel farli abbracciare agli stampini da muffins, i miei cestinetti sono venuti fuori un po’ strani.

Gli ingredienti per la crema sono gli stessi della ricetta di Dona, solo che  ho dimezzato le dosi, dovendo fare solo la crema al cioccolato.
Non essendo dotata neppure di sac à poche, ho preso un sacchetto per il freezer e l’ho riempito con la crema, tagliato uno degli angoli e riempito tutti i cestinetti. Non credete a chi vi dice che essere Macgyver è fico: non è così. Almeno, non con i miei sacchetti da freezer.

Terminato di lanciare maledizioni contro i sacchetti da freezer ho preso una banana ben matura, una confezione di fragole,mezzo limone e due scodelline. Ho spremuto il limone e aggiunto al succo un po’ di zucchero (assaggiare!) e l’ho diviso nelle due scodelle: in una ci ho messo le fragole tagliate a pezzetti, nell’altra la banana. E’ per non far ossidare la frutta ed evitare che le banane diventino nere quando, alla fine della cena, si tira fuori il dolce.

Il post non è finito qua. Cosa faccio? Sparisco e poi vi ammorbo!?
Certo che sì.

Sono appena tornata da un fantastico viaggio a Firenze con Fidanzato. Io e Fidanzato ogni volta che visitiamo un posto che ci piace diciamo che ci andremo a vivere in un determinato momento della nostra vita. Chiaramente non lo facciamo mai, ma se volete una dichiarazione d’amore per un posto particolare l’avrete quando ci sentirete dire una frase del tipo ‘Verremo a vivere qua quando mi crescerà il dente del giudizio in alto a destra’, per esempio.

Se doveste passare per Firenze, dovete assolutamente fare un pasto abbondante da Dolce Vegan. Cheesecake ai frutti di bosco e parmigiana vegan sono senza dubbio da non perdere.
E se siete nei pressi di piazza Santo Spirito, fermatevi all’Osteria Santo Spirito a gustare la loro ribollita servita in porzioni abbondantissime e gustose. O la panzanella. O gli spaghetti alla chitarra con pomodoro e basilico. O la minestra di farro. Tutto assolutamente speciale e abbondante (una porzione soddisfa due mangioni).

Firenze ci ha sconvolti con la sua bellezza e con la bellezza dei paesini vicino. Noi, in realtà, abbiamo visitato solo Fiesole col suo monastero che ci ha fatto venir voglia per 5 minuti buoni di prendere i voti, e Pozzolatico con la sua Sagra del Seitan. E proprio qui abbiamo passato un po’ di tempo con la mitica coppia Cesca QB*LOVE*Uomo Alfa.

Finalmente.

E stare in loro compagnia è stato davvero un piacere, davvero. E’ stato come incontrare qualcuno che non si vedeva da tanto tempo. In realtà è stato proprio così.
Io passo molto tempo ad immaginare come andranno le cose. Tipo: l’arrivo in un locale in cui c’è un concerto, l’arrivo all’appartamento in cui dovrò alloggiare durante un viaggio, l’incontro con una ragazza che ha un blog divertentissimo e pieno di ricette meravigliose. Cose così. Capita che pensi – che so – alle sensazioni, alle emozioni, a volte anche alle cose da dire e da chiedere e ad eventuali momenti di silenzio. Sono una paranoica degli incontri e degli impegni che prendo con gli altri. A volte azzecco quasi tutto, solo con la fantasia. Ma il più delle volte capita che mi sorprendano gli eventi e non succeda nulla di quello che avevo pensato. Ma dico io, dove lo troverò tutto questo tempo per pensare alle cose prima che succedano, con tutte le serie televisive che guardo?
Tutto questo preambolo per dire che l’incontro con Cesca&Uomo Alfa mi ha sorpresa. Non ricordo cosa avessi immaginato, so per certo che ero convinta che sarebbe andato bene. Ma è stato di più, è stato esattamente passare dei momenti piacevoli con delle persone che sai che sono meravigliose e che ti dispiacerà salutare perché hai la certezza che passerà del tempo prima di rivedersi. E però ringrazi, perché sei riuscita a passare del tempo con loro, anche se poi sei uscita mostruosa nelle foto e loro si ricorderanno di te come un piccolo sgorbietto che si ingozzava di arrosticini alla Sagra del Seitan, che poi è la verità.

Vi saluto lasciando un pensiero alle amiche blogger che in un modo o nell’altro sono state coinvolte nel terremoto e segnalando a mia volta una pagina Facebook per dare un aiuto alla popolazione colpita dal sisma di Novi di Modena, qua.

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L’erbivoretta vien dalla campagna con un premio.

Sono stata nominata da Felicia e sono contentissima perchè l’onorificenza è ‘Cake blog di qualità’. Grazie Feli, provvedo subito ad elencare la mia hit parade di dolciumi.

1. Torta tiramisù : il mio animo blogger mi sta dicendo che dovrei spendere due parole su questo dolce, ma la mia nuova attitudine campestre mi spinge a credere che non servano altre parole e che voi, che mi seguite con tanto affetto, capirete perchè è il vincitore. Oops, ho speso più di due parole.

2. Muffins ciocco-arancia di CescaQB : dovete assolutamente provarli, almeno sino a quando riuscite a trovare delle arance. Sono tra i dolcetti più buoni del mondo ed io, personalmente, li ho adottati.

3. Cookies nocciole e cioccolato, aka cookies natalizi: danno assuefazione, garantito!

4. Torta allo yogurt e marmellata della colazione : non ho ancora condiviso la ricetta, ma vi assicuro che lo farò presto e che questa torta merita assai…

5. Cestini di frolla alle nocciole con crema al cioccolato e banane : prendete la crostata pere e creme vegan della meravigliosa Dona, sostituite un po’ di ingredienti per ottenere una frolla alla nocciola, createne dei cestinetti, riempiteli con la sua crema al cacao ed ecco la meraviglia.

6. Baci di dama : forse un po’ di Photoshop potrà aiutarci a vederli nella giusta luce, comunque uno tira l’altro.

7. Torta al cioccolato : devo assolutamente postare anche la ricetta di questa torta, mea culpa.

E adesso arriviamo alle note dolenti. La regola è passare il premio ad altri 10 blogger meritevoli, ma io credo che ogni blog che seguo si meriti questo riconoscimento perciò, è qui: prendete e godetene tutti e condividete la vostra personale classifica di dolci che, in periodo di prove bikini imminenti, ci sta sempre bene. Così, per farci del male.

Intanto, in un appezzamento di terra non molto lontano dalla dimora dell’erbivora, il progetto di un piccolo orto organizzato a bancali continua la sua saga.

 

Strani cavi partono da un tubo per collegarsi ai bancali, creando dei piccoli motori che, si spera, potranno dare la vita a qualcosa.

E il 5 maggio i primi inquilini prendono possesso delle loro stanze, saggiando il terreno. Qualche seme di cipolla, di sedano, di cerfoglio e di zucca è già germogliato, messo a dimora direttamente sul bancale.

Ci sono melanzane, pomodori San Marzano, cetrioli, zucchine bianche e verdi, meloni, peperoni gialli e rossi ed è pronto un piccolo bancale più basso per le fragole. E il gelso e il nespolo ci fanno capire che i loro frutti sono quasi maturi. Speriamo bene.

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Sorbetto all’arancia.

Non so perchè in questi giorni mi è presa la voglia di cimentarmi nel sorbetto. E’ stato un chiodo fisso per una settimana intera e infine sono riuscita a trovare una sera per farlo.

Non ho la gelatiera, perciò ho usato il classico metodo ‘Metti in freezer per un’ora, togli dal freezer e mescola bene’ per almeno 4 volte. Il risultato è stato apprezzatissimo, la nostra colazione del sabato mattina. Vabbè che qua sta piovendo, c’è il vento e non sembra sicuramente estate, ma io e Fidanzato abbiamo deciso così e così è stato.

Martedì è stato il gran giorno per me, quello del mio primo discorso in pubblico. Ringrazio voi blogger per avermi lasciato i vostri consigli, i video educativi, le esperienze e gli in bocca al lupo perchè mi sono serviti tantissimo.

Ma ecco come si è svolto il tutto.

La sera prima mi chiamano per dirmi che nel mio discorso avrei dovuto parlare solo di un determinato argomento, lasciandone fuori altri che mi ero preparata. Così era l’ordine del giorno.
E sì che erano solo cinque minuti, tassativi. E sì che durante il pomeriggio ho ammorbato Fidanzato, io, in piedi davanti al divano, nella posa del piccolo coro dell’Antoniano, che guardavo il soffitto esponendo le mie argomentazioni e Fidanzato che, armato di cronometro, cercava di fornirmi spunti e suggerimenti. E sì che con quegli argomenti che non avrei più dovuto esporre sforavo di circa due minuti dai cinque minuti imposti.

Però che ti cambino la prospettiva a poche ore dal tanto atteso momento, signori, siamo seri.

La mattina dopo, coi nervi a fior di pelle, recupero i miei foglietti e parto per il patibolo. Durante il tragitto ripeto quattro o cinque volte il mio nuovo discorso, rivolta ai semafori, all’omino giallo con la testa che dondola insediato sul mio cruscotto, anche ai simpaticoni che mi tagliano la strada, infervorandomi ogni volta.

Arrivo al luogo prefissato per il convegno, mi faccio strada salutando e ricevendo pacche sulle spalle d’incoraggiamento, faccio il mio ingresso nella sala e mi posiziono in prima fila.
Una doverosa precisazione sulla conformazione della sala, che è predisposta per poter raddoppiare le sue dimensioni, in barba a tutte le leggi della fisica, semplicemente con un muro scorrevole, a scomparsa. E senza dover tirare nessuna leva.

Quando sono entrata io il muro era ancora lì. Quando mi sono avvicinata al microfono non c’era più e al suo posto c’era una marea di gente che aspettava di sentire cosa avevo da dire.

Ho cominciato con un “Buongiorno a tutti”, ho continuato presentandomi, ho cercato di disporre i foglietti per poterli leggere agevolmente ma non c’era nulla da fare: quelli non si sistemavano. Allora ho pensato ‘Pazienza, comincia, poi troverai un modo per continuare!’
E ho cominciato, da vera sbruffona, con la mia battuta iniziale, simpatica e ironica, a mio parere.
Dopo il primo applauso, che non mi aspettavo, ho perso il filo. Una decina di secondi per stabilizzarmi, fare respiri profondi (non sul microfono!) e cercare il segno nei foglietti, che ormai erano inutili. Ho mormorato un “Scusate…” e là è partito il secondo applauso di compassione, questo sì.

Ho ripreso a parlare, come se stessi cercando di spiegare qualcosa ad un paio di amici, sono riuscita a dire quasi tutto quello che avevo da dire, a volte con qualche ripetizione e con qualche vocabolo non troppo azzeccato. Infine, levitando, sono scesa dal palco con i miei foglietti stropicciati e, con le bollicine dentro la testa, mi sono diretta verso la mia sedia. Non faccio in tempo a sedermi, ancora tutta frastornata, che vedo un donnone sorridente che mi stringe e mi bacia “Brava, brava! Hai detto delle cose verissime! E’ la mia alunna!”
Ed era la mia maestra delle elementari, la mia maestra preferita! Si trovava lì, anche lei!

Il mio era il penultimo intervento, perciò dopo mezz’ora mi sono ritrovata libera, a ricevere complimenti, salutare gli amici, prendere  la macchina e tornare in azienda, ancora frastornata.
E’ stata un’esperienza bellissima. Non so se voglio rifarla, ma per il momento sono contenta di averci provato.

Ed ora veniamo al sorbetto.

Ingredienti (per 2 persone).

125 ml di acqua
62 g di zucchero semolato
125 ml di succo d’arancia fresco (io ho usato un’arancia tarocco)
50 ml di succo di limone (mezzo limone di dimensioni medie)
la polpa della spremuta d’arancia
4 g di agar agar

Procedimento.

Mettere nel freezer il recipiente che useremo per contenere il sorbetto.
In un pentolino mettere l’acqua e lo zucchero, porre sul fornello a fiamma bassa e portare ad ebollizione per un minuto, mescolando sino al completo scioglimento dello zucchero. Spegnere il fornello e lasciar raffreddare lo sciroppo.
Spremere l’arancia e filtrare bene il succo con un colino. Spremere anche il limone. Unire il succo d’arancia allo sciroppo, mescolando bene. Aggiungere anche il succo del limone e mescolare. Munirsi di frullatore ad immersione, aggiungere la polpa e frullare, mettendo il frullatore di sbieco, in modo che venga incorporata più aria possibile ( e in modo da sporcare più superfici possibile).
Aggiungere l’agar agar, continuando a frullare.
Fare 3 cicli col frullatore di massimo 5 minuti ciascuno, aspettando qualche minuto fra un ciclo e l’altro in modo da non fondere il motore. Chi ha una gelatiera può fare solo un ciclo e poi mettere tutto dentro la gelatiera.

Tirare fuori dal freezer il recipiente e versarci il composto, coprire, posizionare nuovamente dentro al freezer per un’ora, tirarlo fuori e mescolare, rompendo eventuali cristalli di ghiaccio. Coprire e mettere nuovamente in freezer per un’ora, poi estrarlo e mescolare di nuovo.
Questo procedimento l’ho fatto per 4 volte di seguito. Alla quarta volta la consistenza era quella desiderata.
Si conserva in freezer. Lasciarlo fuori dal freezer almeno 5 minuti prima di servirlo. Aggiungendoci del succo d’arancia fresco, è la morte sua.

 
 

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Tortino di miglio

Sono stata incastrata, ahimè! Dopo un anno e mezzo a nascondermi nell’ombra, un paio di giorni fa è arrivata la proposta.
“Ti va di fare un intervento alla riunione di martedì prossimo?”
“Ehm, non so, mi sta già salendo l’ansia. Ci saranno tante persone, non so se è il caso…”
“Dai, allora ti segno!”
“No, ma non è un sì!”
“Dovrai pur iniziare…”
“Sì, ma non col botto, così…”

E infine ho detto che sì, farò questo intervento.
Perciò da quattro giorni non penso ad altro e vado in giro a lamentarmi dicendo che dovrò intervenire in una riunione, a nome della mia categoria.
Potevo esimermi dal lamentarmi anche qua!? Sì!

No!
Mi è stato detto di fare esercizi allo specchio, ma se non ho un discorsetto pronto come faccio ad esercitarmi? Ho buttato giù un paio di fatti e di frasi ma niente di organico e sto facendo di tutto pur di evitare il momento fatidico in cui dovrò cimentarmi con la voce. Perfino fare le pulizie non mi è pesato, in questi giorni.

I consiglieri più saggi dicono di scrivere una scaletta e di prepararsi su quella. I consiglieri che sfottono dicono che, nei momenti di panico, è utile immaginarsi che quelli delle prime file siano in mutande. I consiglieri amici blogger hanno qualche consiglio o qualche esperienza da condividere con una povera lamentela ambulante?

Questa sera mi sono distratta facendo un tortino di miglio da leccarsi le sopracciglia, approfittando di alcuni carciofi che Fidanzato ha arrostito ieri sul fornetto da campo.


Ingredienti (per 2 voraci persone).

250 g di miglio
500 ml di brodo vegetale
2 cucchiai di olio EVO
1 cipolla rossa di tropea
2 cucchiaini di salsa shoyu
2 cucchiai di farina di ceci
1/2 cucchiaino di pepe bianco in polvere
3 cucchiai di okara di mandorle e nocciole

100 ml di panna di soia
3 cucchiai di yogurt di soia al naturale
1/2 cucchiaino di sale
2 cm di zenzero fresco grattugiato
2 carciofi arrosto
1/2 cucchiaino di senape
latte vegetale qb
1 cucchiaio di amido di mais
qualche carciofino sottolio (opzionale)

Procedimento.

Ridurre la cipolla in piccoli pezzi, e metterla in una padella con l’olio a soffriggere. Quando la cipolla comincerà a sfrigolare, aggiungere anche il miglio e lasciarlo insaporire per 3 minuti, “spadellando” di tanto in tanto.
Aggiungere il brodo e la salsa shoyu, coprire e lasciar cuocere per 25 minuti circa o sino ad assorbimento del liquido da parte del miglio, girando ogni tanto.

Quando il miglio è cotto, lasciarlo raffreddare per una decina di minuti, versarlo in una ciotola capiente e aggiungere la farina di ceci, il pepe bianco e l’okara di mandorle e nocciole.

Accendere il forno a 200° C, foderare una teglia con carta da forno e distribuirvi il composto formando uno strato alto 1 cm e livellando con un mestolo o un cucchiaio. Infornare per 20 minuti.

Per preparare la crema, privare i carciofi arrosto delle foglie più dure e delle parti più coriacee, eliminare la peluria centrale, tagliarli a pezzetti e aggiungere la panna, lo zenzero e frullare col frullatore ad immersione, aggiungendo del latte vegetale qualora il composto fosse troppo secco. Setacciare la crema ottenuta per eliminare eventuali filamenti. Metterla in un pentolino insieme all’amido di mais, al sale, alla senape e allo yogurt e portare il composto ad ebollizione o sino alla densità desiderata, mescolando di continuo.

Sfornare il miglio e lasciarlo raffreddare, dopodichè ricavarne 6 dischi con un coppapasta.
Tagliare i carciofi sottolio in piccoli pezzi e comporre il piatto alternando un disco di sformato di miglio ad uno strato generoso di crema ai carciofi (3 dischi per piatto).

Terminare con uno strato di crema ai carciofi, qualche pezzetto di carciofo sottolio e una spolverata di pepe nero.

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Biscotti alle arachidi salate e cacao. Per Dany.

Sui biscotti non c’è molto da dire.
Ammetto che non si aggiudicano nemmeno una menzione nella hit parade dei biscotti sani, ma meritano davvero: almeno una volta all’anno ce li si può concedere.
Si prestano benissimo ad essere sgranocchiati durante un lungo viaggio in treno oppure inzuppati in un buon tè caldo alla vaniglia, con dei gattoni che ti girano intorno, mentre racconti gli ultimi sviluppi della tua vita a qualche amica.
Ce li vedo benissimo anche su un piattino, nel tavolino vicino al divano, che aspettano di essere addentati dalla più vicina lettrice, assorta in uno dei suoi libri o dei suoi fumetti preferiti.
E’ per questi e per altri motivi che li voglio dedicare a Dany. Non posso agganciare un link al suo nome perchè lei non ha un blog, ma so per certo che, spesso in punta di piedi, passa da queste parti.
Ciao Dany, spero che possano strapparti un sorriso.

Ingredienti.

250 g di arachidi salate
90 g di polpa di avocado maturo (come Feli insegna)
35 g di burro di soia (o margarina)
250 g di zucchero semolato
2 cucchiai di acqua + 2 cucchiai di fecola (“fecoluovo”)
1/2 bustina di lievito in polvere
1 cubo di cioccolato fondente ridotto in scaglie
185 g di farina
40 g di cacao in polvere
Procedimento.

Accendere il forno a 180°C.
Amalgamare la polpa dell’avocado e il burro con un frullatore ad immersione, fino a ridurli in crema.
Inserire in un robot da cucina le arachidi e metà dello zucchero e frullare ottenendo una pasta (le arachidi devono rilasciare l’olio) con ancora pezzetti di arachidi.
Aggiungere le arachidi alla crema di avocado e burro, unire lo zucchero,  il “fecoluovo” e impastare con le mani. Setacciare insieme la farina, il cacao e il lievito e aggiungere all’impasto. Per ultimo, incorporare il cioccolato in scaglie. Preparare una teglia, foderandola con della carta forno.
Con le mani leggermente umide (l’impasto è abbastanza appiccicoso) formare delle palline di circa 4 cm di diametro e appiattirle leggermente. Disporre sulla teglia i biscotti ottenuti e infornare per 15 minuti. Dopo averli sfornati, lasciarli raffreddare almeno per una ventina di minuti, prima di trasferirli su una gratella.

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Ricotta e esperimenti mal riusciti.

Questa settimana ho avuto un pensiero fisso: riuscire a riprodurre le pardule, dolci tradizionali pasquali fatti principalmente di ricotta. E riuscire a fare la ricotta, ovviamente.
Sono salita in groppa a Google e ho scandagliato il web alla ricerca di una ricetta che facesse al caso mio e, ingorda come al solito, ho puntato quella della doppia vegricotta delicatissima di Anto.
Così, armata di buone intenzioni, stamattina ho fatto il latte di soia: con un litro d’acqua, 90 g di soia e la mia mucca elettrica è venuto fuori circa un litro e duecento millilitri di latte.

Questa cosa devo assolutamente condividerla: ho sperimentato che l’acqua di lavaggio della soia è perfetta per i fiori, perciò la riciclo sempre versandola nei vasi.
Detto ciò, ho scaldato in un pentolino 1 cucchiaio d’acqua e 3 cucchiai di aceto di mele, ottenendo una soluzione tiepida. Ho scaldato in una pentola il latte di soia sino ad arrivare a 90° C circa, spento il fuoco, versato la soluzione di acqua e aceto e un cucchiaino raso di sale grosso. Dopo aver mescolato per bene ho coperto con un coperchio e lasciato raffreddare per un’ora.
Ecco i fiocconi dentro la pentola.

Non ho una fuscella, ma solo una forma da tofu che mi avevano spedito insieme alla mucca elettrica. L’ho foderata con un pezzo di carta assorbente e ci ho versato sopra il contenuto della pentola, molto delicatamente. Il siero l’ho raccolto in una ciotola. Ho letto che si può utilizzare per fare l’impasto del pane al posto dell’acqua e che si conserva almeno una settimana in frigorifero.
Mi aspettavo un siero non trasparente e invece è venuto giù limpidissimo. Mistero.
Rinuncio alla seconda vegricotta sperata e lascio scolare in frigo per almeno quattro ore la prima.


Finalmente è giunta l’ora: posso controllare la mia creatura. Assaggio una ditata di questi 200 g di creatura ed è proprio buona, delicata e morbida.
Anche Fidanzato conferma che il sapore è di suo gradimento, così gli annuncio: “Faccio le pardule!”

Racimolo gli ingredienti e mi metto all’opera. Non le avevo mai fatte prima, nemmeno con la ricotta di latte animale, però ho visto mia nonna farle e rifarle, criticare tutti i possibili difetti nella lavorazione e nella cottura. Perciò ho un mio modello ideale di pardula che si è formato ascoltando mia nonna.
Non ho fiducia nel DNA, ma sono un’attenta osservatrice e so bene come devo pizzicare e rigirare la pasta per creare un cestino di per quel ripieno cremoso.

Il risultato mi soddisfa e sono contentissima perchè posso finalmente metterle dentro il forno e, non appena verranno fuori, dopo le foto di rito, le addenterò e potrò dire se somigliano a quelle originali oppure no.

Mi piazzo a fianco al forno controllandole di tanto in tanto, mi gusto quel profumino invitante e tra me e me penso ” E’ fatta!”
Le osservo e vedo che si stanno gonfiando come palloncini: sono veramente buffe!

Quando le tiro fuori dal forno c’è già Fidanzato che gironzola intorno cercando di addentarne una: magari l’avesse fatto prima che facessi tutto il servizio fotografico!

Non sono carinissime !?

E invece il ripieno era semicrudo, accidenti! Peccato, perchè il sapore era praticamente identico a quelle originali, non fosse stato per quella consistenza ancora cremosa all’interno.

Che peccato, ci son rimasta proprio male e anche Fidanzato, che aspettava trepidante. Ce le siamo mangiate lo stesso, eh. Ho scoperto che la vegricotta è davvero preziosa, non intendo buttarne nemmeno un pezzetto. Magari la prossima volta la lascio colare di più. E magari la prossima volta potrò condividere questa ricetta. D’altronde son dolci pasquali, sono ancora in tempo: devo solo continuare a sperimentare.

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Ricette per la rivoluzione?

Giugno 1969. Orgosolo. Pratobello.

Lo Stato Italiano decide di installare una delle numerose servitù militari, che già gravavano sulla Sardegna, a Pratobello. Il progetto prevedeva la costruzione di un poligono permanente e l’invio di contingenti militari in alcune zone del paese che comprendevano i pascoli utilizzati nel periodo estivo, dopo la lunga transumanza campidanese del periodo invernale. Il Campidano è la zona sud della Sardegna, più vicina alla costa e con inverni più miti rispetto alle zone più interne.
La reazione della popolazione orgolese fu massiva: venne convocata un’assemblea alla quale partecipò tutto il paese (circa 5000 anime, all’epoca) e al termine della quale si decise che il giorno dopo ci si sarebbe recati in massa ad occupare i pascoli di Pratobello.
Ospitali sì, ma non disposti a subire.
Fu una manifestazione non violenta, totalmente pacifica, alla quale parteciparono uomini e donne di ogni età. Lo Stato inviò i militari e i carabinieri a presidiare le zone scelte per la nuova base militare, ma dopo una settimana di proteste fu chiaro che nessuno Stato avrebbe potuto costruire nessun poligono militare in quei terreni sfruttati da sempre per l’economia locale.

2006. Vicenza. Dal Molin.

Gli Stati Uniti progettano di dare vita ad un complesso di edifici che sarà costituito da centinaia di migliaia di metri cubi di cemento. Una nuova installazione militare in un territorio a cui già, in questo senso, è stato chiesto tanto.
Questo ambizioso progetto viene esposto, nel 2004, all’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi, che coinvolge l’allora sindaco di Vicenza Hullweck, il quale mostra propensione verso la proposta avanzata dall’allora premier. Tutto questo si svolge senza il coinvolgimento dei cittadini, che scopriranno tutto 2 anni più tardi, nel 2006. Quando Romano Prodi, nel gennaio 2007, dà il via libera all’attuazione del progetto, 150mila persone si organizzano per circondare la città, dichiarando di voler resistere e difendere il proprio territorio. Dopo quella giornata il movimento ‘No Dal Molin’ ha promosso innumerevoli iniziative di protesta.
Nonostante tutto, i lavori nel cantiere sono continuati ad andare avanti. Lo stile “palladiano” prospettato nei grandi progetti è stato abbandonato per lasciare il posto ad edifici squadrati e senza fronzoli e il trasferimento di qualche migliaio di militari è previsto per giugno 2013.

Oggi. Val di Susa.

E’ tornato alla ribalta il movimento No Tav.  In realtà non si era mai fermato, sono state messe in campo numerosissime iniziative e forme di protesta per evitare la costruzione della Torino-Lione, ma si riprende a parlare della cosa solo quando c’è di mezzo la violenza, classificando le persone che manifestano come anarco-insurrezionalisti, violenti, black bloc, estremisti. Poco importa se dal 2005, quando la protesta è iniziata, siano passati già sette anni. Sette anni in cui le persone hanno cercato di portare avanti pacificamente una protesta più che legittima, che cerca di riappropriarsi degli spazi, della propria economia e del dissentire cercando una mediazione ragionevole.
Inutile che i rappresentanti dello Stato dicano che non ci sarà nessuna mediazione coi violenti: lanciare lacrimogeni tossici addosso a persone con i cappucci in testa (è piena estate in Val di Susa?!), giovani, anziani, donne, non è certo una dimostrazione che si è disposti a trattare.
Dire che il cantiere ormai è stato iniziato, neppure.
Se mi sfugge qualcosa in merito al dialogo pacifico, forse è perchè nessuno mi ha informato sull’evoluzione della maniera di dialogare, in questo paese, degli ultimi anni.

Certo è che dal 1969 ad oggi ne è passato di tempo, ma questo non è bastato ad insegnare ai governanti ad ascoltare la voce delle persone che gli pagano lo stipendio e li nominano come loro rappresentanti. Pare piuttosto che abbiano imparato a tapparsi le orecchie e il naso e a spalancare la bocca oltremodo, ad andare avanti etichettando le persone e privandole man mano delle loro libertà, a glissare palesemente di fronte a ragionamenti e richieste, a sminuire le proteste, le manifestazioni e gli scioperi e, quando possibile, a sabotarne gli intenti.


Oggi non ce la faccio a postare nessuna ricetta della mia rivoluzione personale, nessun outfit e nessuna autoproduzione. Oggi sono così.

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Il sabato del raccoglitore.

Dal momento che la domenica è stata presa con forza come giornata dei cacciatori, noi almeno prendiamoci il sabato come giornata dei raccoglitori. Andiamo sul sicuro e non facciamoci impallinare. In tutti i sensi.

Io devo essere nata con l’istinto del raccoglitore seriale che però ambirebbe ad aumentare le sue possibilità di raccolta.
Quando ero più piccola avevamo un vicino di casa esperto micologo che ci identificava al volo qualunque fungo gli mettessimo sotto al naso.
La sua famiglia e la mia uscivano spesso per lunghe passeggiate alla ricerca di funghi. Il più ambito, mi ricordo, era l’ovulo, perchè potevi assaporarlo anche crudo.
Nonostante gli insegnamenti di questo pozzo di scienza micologica, io oggi riesco a riconoscere solo pochi tipi di funghi, tra cui le mazze di tamburo, i porcini e le vescie, quelle che mia mamma adorava cucinare col burro e ficcare dentro i panini che avremmo consumato in giro, alla ricerca di funghi.

Non mi si chieda di raccogliere erbe: so riconoscere l’ortica, ma sono poche le altre erbe commestibili che riesco ad individuare. Invece conosco quasi tutte le specie presenti nella macchia mediterranea.
Posso raccogliere anche gli asparagi, senza dubbio. Ed è quello che ho fatto stamattina, nei monti vicini a casa.

Abbiamo riportato con noi un bottino di primizie, osservato i primi fiori dei mandorli e ci è scappato pure un outfit.

La mia tecnica consiste nello sbarazzarmi dei raccoglitori vicini, seminandoli, avvicinarmi ai cespugli di asparagina, chinarmi per vedere se dal basso spunta qualcosa con delle sembianze più morbide dei rametti del cespuglio ed, in tal caso, seguirne il colore, sino a trovare le neo spine dell’incauto asparago. Eccolo, è proprio lui: mio!

E questo è il bottino di primizie. Seguirà ricetta, a breve.

Veniamo senza ulteriori indugi all’outfit del giorno.
Un outfit comodo ma ricercato, dal momento che la tuta era l’ultima taglia XL nel reparto bambini di un negozio di abbigliamento. Avrò lasciato a bocca asciutta un bimbo pasciuto che aveva un disperato bisogno di questa tuta per dimagrire facendo ginnastica. Sarò malvagia e spietata, lo so.
Ma certe volte, quando ti innamori a prima vista di una felpa e per il fashion, non ci sono bimbi che tengano.

Outfit “cercatore d’asparago” 2012, adatto a grandi e piccini. Dipende da chi fa prima.

Tuta: Puma bimbo
Scarpe: Lotto
Maglia: Zara

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Zuppa di lenticchie di Fidanzato.

Anche se non è la sera di San Valentino, Fidanzato sa come accogliermi quando torno distrutta da una giornata di lavoro.
Non sarà un lavoro sui campi, al freddo, precario, ma in certi periodi è come se attivassi il radar e in una sola giornata riuscissi a vedere tantissime cose che non vanno bene.
Per esempio il fatto che il lavoro lo portino avanti sempre gli stessi – è chiaro che io mi includa negli stessi citati, altrimenti che vittima del sistema sarei?!-, che altri arrivino all’ora che vogliono e vadano via ancor prima che tu abbia cominciato a monitorare la scrivania per fare un inventario delle tue cose da riportare a casa.
Per esempio il fatto che la programmazione delle attività sia così trasparente che proprio non esiste e che l’improvvisazione regni sovrana in quasi tutti i settori. E questo nonostante l’azienda abbia dichiarato “Eh, siamo un po’ in crisi, da domani si cambia registro!”, volendo con ciò intendere “Da domani attingiamo anche noi a quello che dovrebbe essere il fondo per la vostra pensione, tanto lo fanno tutti, tanto non la vedrete mai!”, volendo con ciò succhiare il sangue dall’INPS (sangue creato con i contributi della gente), dire ai soliti pezzenti che un giorno alla settimana rimanessero pure a casa e continuare a tenere ai vertici le stesse striscianti, incompetenti persone che hanno portato l’azienda in questa situazione.

Sì, perchè la parola d’ordine è flessibilità, ma solo da un certo livello in giù, sia chiaro.

Tutte queste cose, a fine giornata, mi lasciano sempre un piccolo bruciore allo stomaco e un senso di impotenza non da poco. Neppure la lezione di pilates, che pure smorza parecchio la tensione, riesce a togliermi questo senso di rabbia e il dolorino allo stomaco. Fidanzato mi ha praticamente cacciata di casa, costringendomi ad andarci.
Nel frattempo mi ha preparato una sorpresa meravigliosa e, al mio rientro, sono stata accolta da un profumino di pane caldo e dalla sua zuppa di lenticchie, la cui ricetta è stata estorta con tanti “Mmmmm, che buona, come la fa Lei… è un piatto da ristorante!” a mia nonna.

E’ un piatto che fa calduccio casalingo, braccia amorevoli, sguardi rilassati e “nessuno parli di lavoro davanti a cotanta bontà!”.
Sì, perchè alla fine dovrei ripetermelo più spesso: “Non ci pensare, è solo lavoro.”

La vita è un’altra cosa, ben diversa dall’affannarsi dietro alle scadenze imposte da un incompetente e per quel che posso, fuori dal lavoro, cercherò di non inquinarla con le lamentele post otto ore canoniche e di concentrarmi con i miei “Mmmmm che buona, quasi più buona di quella di Nonna!” ad estorcere la ricetta a Fidanzato per poterla condividere con i più bisognosi.

Ingredienti.

2 patate medie
1/2 cipolla
1/3 di mazzetto di prezzemolo
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
2 pomodori secchi
180 g di lenticchie
olio qb
acqua qb
spaghetti
sale qb
1 spolverata di pepe nero

Procedimento.

Tagliare a pezzetti piccolissimi la cipolla e il prezzemolo. Lavare le patate, sbucciarle e tagliarle a pezzi grossi. Dividere ogni pomodoro secco in 4 pezzi, prendere una pentola dai bordi alti, coprirne il fondo con un filo d’olio d’oliva, aggiungere le cipolle, il pomodoro secco, il cucchiaio di concentrato di pomodoro, il prezzemolo, le patate e le lenticchie, aggiungere tanta acqua quanto basta per coprirle abbondantemente.

Non c’è soffritto, in questa zuppa: mettere tutto sul fuoco e portare ad ebollizione. Quando bolle, trasferite la pentola nel fornello più piccolo del piano cottura, abbassate la fiamma al minimo e lasciate cuocere  coperto per almeno un’ora, o sino a quando le lenticchie non sono cotte.

Trascorso questo tempo, aggiungete il pepe e il sale a vostro piacimento (assaggiate!), eliminate il pezzo di pomodoro secco che galleggerà dentro la zuppa, schiacciate le patate e versatevi gli spaghetti spezzettati, lascianso cuocere per il tempo di cottura indicato nella confezione.
Servire bollente e con del buon pane, magari appena sfornato.

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The Versatile Blogger

La dolcissima Katy mi ha passato il testimone e io lo raccolgo con piacere. La missione è quella di elencare 7 cose che ci riguardano, che potrebbero non essere emerse dai nostri post.

Poi bisognerebbe passare il testimone ad altri 15 blogger ma ho fatto due calcoli e credo che dovrò fare la rovina famiglie e chiudere qua la catena.
Il primo calcolo, dopo copiosa stesura di formule sulle pareti ricoperte di lavagne, mi ha portata alla conclusione che ho già spiato i sette punti di quasi tutti i blog che seguo e perciò mi rimarrebbero meno di quindici persone a cui passare la palla.
Il secondo calcolo, previa cancellazione e successiva riformulazione di algoritmi matematici, ha fatto sì che io potessi formulare una tesi secondo la quale, non essendoci nessuna scomunica di sorta prevista per l’interruzione della catena, posso interrompere la stessa senza troppi patemi d’animo. O paté d’animo, che dir si voglia.

1) Spesso mi fisso con le canzoni e le ascolto fino a quando non scompare il tasto ‘repeat’. Un po’ difficile che ciò avvenga, nel caso di iTunes. Mi ritrovo a cercare il testo per impararla a memoria e vado in visibilio quando arriva la mia parte preferita del testo o della musica. L’ultimo caso è ‘Rock’n’roll suicide‘, la parte in questione è ‘[…] Don’t let the sun blast your shadow/Don’t let the milk float ride your mind/They’re so natural – religiously unkind/Oh no love! you’re not alone[…]’. Se in quel momento sono cosciente, allora sto cantando e nessuno mi deve interrompere.

2)Da piccola dicevo che da grande avrei fatto il benzinaio, poi la pianista, poi la scrittrice. Oppure con mia sorella avremmo aperto una rosticceria, o una pizzeria. Poi sono finita a fare la programmatrice informatica e ne sono contenta comunque.

3)Mi piace molto ascoltare i racconti delle persone anziane: soprattutto quando parlano in dialetto, soprattutto mia nonna.

4)Ho un rapporto molto brutto col telefono. Non lo sento squillare, leggo gli sms anche dopo un paio di giorni. Un disastro, insomma.

5)Mi appassiono sempre molto ai blog che seguo. Il primo che mi ha fatta innamorare di questo modo di condividere i pensieri e i fatti è stato quello di mia sorella. Prendendo spunto dal suo, periodicamente scrivevo un blog anche io, poi lo mollavo, poi ne creavo un altro e così via. L’ultimo esperimento, scritto a quattro mani, è stato questo. Cioè, il penultimo. L’ultimo è qua, sotto i vostri occhi, senza ricorrere a link di sorta.

6)Il mio sogno più grande, attualmente, è quello di prendere un bel terreno, in campagna oppure in collina, ristrutturare un rudere di pietra e andarci a vivere.

7)Nonostante la me undicenne, alla notizia dell’imminente nascita di un fratellino, scoppiò in lacrime di disperazione e gelosia – cosa che mi si rinfaccia periodicamente – all’avverarsi della profezia accennata dai genitori,  la me dodicenne scoprì di amare molto la compagnia dei bambini. La me quasi trentenne conferma questa passione, passando intere serate ad ignorare gli adulti e ad immergersi nei piccini, tornando piccina.

Se passate di qua per caso o intenzionalmente, sentitevi insigniti del titolo verde con scritte di ‘Versatile Blogger’.

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